domenica 15 novembre 2009

Rugby


Intervista ad Alessandro Troncon
Come diventare campioni di rugby

Un ex mediano di mischia molto conosciuto anche a livello internazionale attualmente assistente allenatore del nuovo C.T. della Nazionale italiana Nick Mallet. Nato nel 1973 a Treviso ha avuto una bellissima carriera: dopo aver giocato nella Benetton Treviso, si trasferisce in Francia per giocare con il Clermont-Auvergne dove, nel corso della Coppa del Mondo di Rugby del 2007, raggiunge il tetto di 100 incontri internazionali entrando così in un gruppo ristretto di giocatori tra i quali George Gregan e Jason Leonard. Un grande giocatore, un uomo forte e appassionato del rugby ma anche una persona sensibile che ha voluto prestare la propria immagine in difesa dei bambini meno fortunati: Alessandro Troncon!

Com’è avvenuto il tuo avvicinamento al rugby?In precedenza praticavi altri sport?
Ho cominciato a cinque anni e mezzo perché mio padre giocava a rugby e, andando a vedere le sue partite il sabato e la domenica, ho voluto iniziare a praticare questo tipo di sport dal quale poi non mi sono più allontanato.
Esistono delle caratteristiche fisiche particolari per praticare con successo questo tipo di sport?

Il rugby è uno sport molto bello perché va bene per tutti ed è adatto a tutti i tipi di fisici. Diventare un rugbista ad alto livello, però, non è semplice ma la cosa più importante fin dall’inizio, secondo me, è giocare a rugby perché è uno sport educativo, divertente e di aggregazione che trasmette dei valori forti. Iniziare a praticare una particolare disciplina sportiva pensando già al successo e alla carriera non è l’approccio giusto!
Quando hai capito di avere talento?
A me è sempre piaciuto giocare a rugby e l’ho sempre fatto con il massimo impegno. Di conseguenza tutte le cose sono venute un po’ alla volta senza averle cercate per forza ma sempre dando importanza prima di tutto al piacere che provavo nel praticare questo tipo di sport e con l’impegno giusto. Potevo anche avere delle particolari doti ma, prima di tutto il divertimento, mi ha aiutato molto.
Sei stato uno dei più forti mediani di mischia del rugby italiano. Vuoi spiegarci tecnicamente di cosa si tratta?
Il mio ruolo era quello di regista e, in termini cestistici, di "play maker" di apertura, insieme al mediano, di una squadra di rugby. Gestivo il ruolo degli avanzi della mischia e organizzavo, durante una partita, i giocatori stessi all’interno del campo. E’ un ruolo molto importante da “leader” perché gestisce, a livello tecnico e tattico, l’andamento di una partita.
Lo sport significa disciplina e responsabilità, crescita individuale, disponibilità al sacrificio e solidarietà, raggiungimento degli obiettivi. Spesso lo si definisce una vera e propria scuola di vita. Per te è stato così?
Si, assolutamente. Lo sport deve essere considerato una scuola di vita perché è un momento di aggregazione e ti insegna a convivere con altre persone. In più lo sport, come la vita stessa, ha precise regole da cui non si può prescindere e che vanno rispettate, come anche va portato riguardo alle figure che stanno al di sopra di te come, per esempio, al tuo allenatore.
In ogni caso lo sport, alla base, deve essere divertimento e piacere!
Sei anche impegnato in attività sociali: fai parte del gruppo di atleti azzurri testimonial del ramo italiano dell’associazione di volontariato SOS Villaggi dei Bambini ONLUS, che si occupa del sostegno all’infanzia disagiata. Vuoi spiegarci meglio in che cosa consiste tale attività?

E’ un’attività importante che consiste nell’offrire la mia immagine a varie associazioni benefiche. Sono testimonial non solo di SOS Villaggi dei Bambini ma anche di INTERVITA, una Onlus che si occupa dello sfruttamento sessuale dei minorenni.
La tua carriera sportiva è stata costellata di successi e particolarmente longeva. Quanto può durare in media la carriera di un rugbista?
La carriera di un rugbista dura in media 12 o 16 anni. La longevità di una carriera dipende anche dal ruolo stesso di un rugbista. Con il passare del tempo e con l’evoluzione di questo sport la carriera dura meno perché il rugby ad alto livello è diventato uno sport piuttosto logorante e in media adesso la carriera penso che possa durare 10/12 anni.
Terminata l’attività agonistica, dal 2008 sei l’assistente allenatore del nuovo C.T. della Nazionale italiana, il sudafricano Nick Mallett. Cosa significa passare “dall’altra parte”?

Ci sono sicuramente dei cambiamenti radicali perché vivi questo sport in maniera diversa. Sei molto più analitico, più riflessivo e meno istintivo ed emotivo. E’ cambiata la mia funzione e anche il rapporto con gli stessi giocatori con i quali avevo vissuto anche dei momenti forti: da loro compagno, infatti, sono diventato il loro allenatore. All’inizio è stato un po’ difficile ma adesso sicuramente ho preso l’abitudine e devo dire anche che mi piace.
Ti piaci, quindi, più allenatore o più giocatore?
Sicuramente giocatore perché il rugby, come tutti gli sport, va giocato. Però, secondo me, ad un certo punto un buon giocatore deve rendersi conto che è ora di smettere perché tutte le cose hanno un inizio e una fine. La forza di un giocatore sta proprio nel riconoscere che probabilmente è arrivata la sua fine dal punto di vista agonistico. Io, in questo senso, sono stato fortunato! Sicuramente mi dispiace non giocare più ma è ora che giochino altri rugbisti. Sono molto contento di essere diventato allenatore anche se praticare uno sport è una cosa unica!
A che età un bambino può iniziare con i corsi di minirugby? Quali sono le difficoltà iniziali?

Difficoltà particolari non ce ne sono. Ci sono, più che altro, difficoltà logistiche perché non in tutta Italia ci sono posti dove poter avvicinarsi a questo sport anche se in realtà il rugby, negli ultimi anni, è cresciuto a livello esponenziale perché c’è stato un avvicinamento molto importante a questa disciplina. Altre difficoltà non ce ne sono in realtà perché il rugby è uno sport adatto a tutti, bambini e ragazzi.
Per quanto riguarda l’età, non ci sono veri vincoli in questo senso: io ho iniziato a cinque anni e mezzo e so che ci sono diverse categorie (under 7, under 9, under 11). Il minirugby è sicuramente uno stare insieme, un divertimento e un passarsi la palla più che una vera disciplina: un divertimento, quindi, adatto a tutti i bambini e inizialmente anche alle bambine. Quindi già dai 6 anni tutti i bambini possono avvicinarsi a questa disciplina!
Da grande campione quale sei stato, che consiglio daresti ai bambini che hanno scelto di praticare il rugby e che vorrebbero, un giorno, poter eguagliare i tuoi successi? A tutti i bambini che vorrebbero fare i rugbisti come me io consiglio di praticare questo sport in maniera naturale e con passione come si fanno tutte le cose che ci piacciono. All’inizio non si può sicuramente prevedere di diventare giocatori affermati e, quindi, bisogna praticare il rugby per divertimento e per passione. Poi, se le cose devono arrivare, arrivano. Giocare a rugby si fa per puro piacere, come tutti gli sport!



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